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Memorie storiche di Favara di Carmelo Antinoro

FONTI E BEVAI

 

Fonti e bevai

 

 

 

Il marchese di Villabianca Francesco Maria Emanuele Gaetani nella sua Sicilia nobile ha scritto su Favara: Terra cosi detta dalle cristalline fonti che sgorgano nel suo contado e fertilissimi rendono i di lei campi.

“Favara” (nome della città), “Canali” e “Giarritella” (nomi delle due maggiori fonti di approvvigionamento idrico) sono tre toponimi inscindibilmente legati al panorama storico della Sicilia e del territorio agrigentino che va dalla fine del IX sec. d. C. al XII sec. d. C., periodo in cui si affermò la cultura araba, da cui hanno hanno avuto origine molti nomi ancora oggi fiorenti, di cose e persone. Così come “Fawar” (antico toponimo dell’antico casale arabo di Favara) si riferisce (secondo gli storici) all’abbondanza d’acqua, quelli di “Canali” e “Giarritella” si riferiscono ad altri due toponimi arabi: il primo alla piccola giara - antico contenitore in terracotta con cui gli indigeni andavano ad attingere acqua alla fonte - e il secondo alla condotta d’acqua, di cui gli arabi furono maestri costruttori

Nonostante la cacciata degli arabi dalla Sicilia da parte di Ruggero il normanno e il conseguente abbandono del casale Fawar, da localizzare sulle dolci vallate del monte Caltafaraci, la cultura araba è rimasta come una cicatrice indelebile nella comunità siciliana e favarese, al punto di metabolizzarne nomi, usi e costumi. Secondo questo principio, anche se in assenza di documentazioni storiche, possiamo con certezza affermare che “Canali” e “Giarritella sono le due fonti che hanno permesso la nascita e la sopravvivenza di Favara e che hanno dato i nomi alle contrade prima del processo di urbanizzazione.

 

 

La fonte e il bevaio Canali

 

Fonte Canali

 

Localizzazione accesso precedente agli ultimi interventi

Fonte Canali

 

Cunicolo di accesso alla grotta e canale di scorrimento dell'acqua

Grotta e sorgente dell'acqua di Canali

 

Grotta con la fonte d'acqua

Grotta e sorgente dell'acqua di Canali

 

Data (1751) incisa nel concio chiave dell'arco sull'anfratto dove sgorga l'acqua

Grotta e sorgente dell'acqua di Canali con incisa la data 1751 nel concio chiave di un arco

 

 

Nel cuore del centro storico di Favara, sopra uno sperone di roccia, nonostante le manomissioni ed il disordine edilizio-urbano circostante, da oltre sette secoli si erge ancora imponente e con severità il castello dei Chiaramonte, opera maestosa ad uso prevalentemente residenziale ed anticamente legato ad una cinta muraria fortificata turrita, con muri di grande spessore. Una delle due porte della cinta fortificata, ancora esistente, anticamente si apriva su un ripido viottolo che portava a valle, verso la sorgente che ha dato vita all'abitato di Favara. Consapevole della inscindibile relazione intercorrente fra la fonte Canali ed il Castello, l'associazione SiciliAntica di Favara nel 1999 ha esplorato un cunicolo alle spalle dell'attuale bevaio di largo Canali. I risultati sono stati di notevole spessore per la conoscenza e cultura storica locale.

In particolare si tratta di un cunicolo della lunghezza di circa 10 m., da dove l'acqua sorgiva defluisce incuneandosi in un solco in pietra, fino ad arrivare all'attuale bevaio. Il cunicolo, percorribile dall'uomo, sfocia in una piccola caverna naturale sotto la via Reale, in fondo alla quale sgorga l'acqua, la vera e propria sorgente Canali. Non è un caso il fatto che il simbolo del Comune di Favara, coniato fra agosto e settembre 1883, riporta un castello moresco su una rocca, sotto cui sgorga l'acqua. Da quanto accertato emergerebbe che agli albori dei primi insediamenti, cioè intorno alla seconda metà del 1200 d. C., la fonte doveva trovarsi nel suo stato naturale, a parte un arco in pietra sul masso, sotto cui sgorga l'acqua, recante la data 1751, epoca a cui sarebbe da riferire non soltanto l'arco, ma, cosa più importante, l'espansione del tessuto urbano fra via Reale e Largo Canali, periodo in cui in quel luogo era pure ubicata la bocceria, ovvero il macello comunale.

Secondo alcune testimonianze di anziani del luogo, alla fine del cunicolo esisteva una diramazione conducente al castello.

 

 

La fonte e il bevaio Giarritella

 

Bevaio Giarritella

 

Contrada Giarritella nel 1850

Contrada Giarritella nel 1850

(A) cisterna di raccolta d'acqua;

(B) chiesa dell'Itria;

(C) via per Girgenti (ora via Agrigento);

(D) viale Itria (ora via F. Crispi);

(H) via per Favara (ora via V. Emanuele);

(E) via della Guardia (il toponimo "Guardia" era dovuto alla presenza, nelle vicinanze, della garitta di guardia della cinta daziaria - ora via Cappello);

(F) via S. Rocco;

(G) terre del cav. Riccardo Ricca;

(U) linea di confine dove era collocata la condotta interrata che portava l'acqua dalla cisterna A alla fonte U, (ora occupata dalla via Quintino Sella);

(V) terre di Gaspare Dulcetta;

(I) terre del barone Giuseppe Mendola;

(L) mulino a vapore di Francesco Cafisi (ora casa d'abitazione);

(M) chiesa di S. Rocco;

(U) fonte d'acqua potabile;

(N) prima gebbia;

(O) seconda gebbia;

(P) terza gebbia;

(Q) vasca bitumata;

(R) acqua di sopravanzo che percorreva il luogo dell'attuale via Luigi La Porta;

(R1) diramazione dell'acqua verso il vallone;

(S) ponticello;

(R2) diramazione dell'acqua verso via Fonte Canali;

(T) vallone di Favara;

 

Fonte-bevaio Giarritella del 1884

 

Fonte-bevaio Giarritella del 1884

 

 

 

Foto del bevaio Giarritella di Marcello Rizzo a. 1963

contrada Giarritella

 

Il luogo della fonte-bevaio Giarritella con, in fondo, gli stabilimenti Mendola, la chiesa e convento

Contrada Giarritella nel 1900

(Z) il bevaio costruito nel 1886;

(X) quartiere costruito sulle terre di Gaspare Dulcetta;

(Y) quartiere costruito sulle terre del barone Giuseppe Mendola;

(J) schiera di case fatte costruire dal barone Antonio Mendola (oggi prospicienti la via       Beneficenza Mendola);

(K) carcere mandamentale costruito nel 1885;

 

Contrada Giarritella nel 2009

 

 

Si hanno notizie documentali sull’esistenza di gebbie (altro toponimo arabo che indica i contenitori aperti d’acqua realizzati in pietra da taglio e calce o scavati direttamente nella roccia) a Giarritella nei primi del 1700 ed è un dato inconfutabile il fatto che i mastri giurati di Favara avevano un gran da fare per assicurare il loro funzionamento e mantenimento attraverso opere di pulizia e di manutenzione. Nel 1715 nella contrada Giarritella, oltre alla fonte per uso potabile era presente una quantità imprecisata di gebbie (almeno due o tre), ognuna con compiti diversi (sicuramente una come pubblico lavatoio e un’altra per abbeverare le bestie). Nel 1757 si hanno notizie di mastro Trifonio di Marco, il quale apportava consistenti modifiche alla fonte Giarritella per fabbricarci una beveratura lunga palmi sedeci (m. 4,00 ca.), larga palmi sei (m. 1,50 ca.) di fabrica, e fabrica larga dalla parte di dietro palmi quattro ed alta palmi tre e mezzo, tutta di pezzi intagliati, con doverla dalla parte di dentro imbattomare, e con dovere fare il fossato sino al sodo di pietra e tajo sino al sodo ..... con arrasare il terreno, e lo resto di calce e rina, con farci i canaloni di pietra in canne cinque con tutto, attratto, e magistero … Tra gli argomenti più scottanti legati all’acqua e all'igiene pubblica c’era la pulizia e sistemazione delle strade interne di Favara, soprattutto quelle che conducevano alle fonti, dove, a causa di perdite della condotta che portava l’acqua dalla sorgiva alla fonte, ma principalmente per il deposito di residui organici e vegetali per le vie, che avveniva a seguito del passaggio di carri e animali. Le strade che confluivano alle fonti diventavano impraticabili, soprattutto nel periodo invernale, mentre nel periodo estivo l'acqua ed il fango che ivi ristagnavano creavano estese chiazze paludose puzzolenti ed erano spesso causa di febbri intermittenti scortate da vari sintomi, e febbre nervosa, con grave rischio per la salute pubblica. Nel 1834 vennero eseguiti imponenti lavori a Giarritella, per un importo di oltre 60 onze, fra cui: la realizzazione di un acquedotto di canaloni; il rifacimento della gebbia piccola (ne esisteva un’altra detta grande già nei primi del 1700); l’esattazione delle balate all'intorno di detta gebbia ed indi supplirne altre sette della grandezza di palmi due; il rifacimento del pavimento di detta gebbia con un selciato assettato con calce ed arena (sabbia); il rifacimento del selciato innanzi il beveratojo e fonte per una estensione di canne 11 (22,00 m. ca.) di lunghezza e canne 1 di larghezza; il rifacimento del selciato in continuazione del primo assettato a secco, ma bene incatenato; la realizzazione di un gettito di pietra grossa e poi arrasagliarla di pietra minuta e poi interrarlo di pizzolame di pirrera di S. Rocco e una catena di testette di palmi dodici per intrafittare lo gettito. Il continuo calpestio da parte delle bestie e degli uomini del piano che contornava le gebbie, l’acqua che da esse fuoriusciva e le piogge incessanti e dilavanti invernali erano causa del continuo logorio di detto piano, al punto da renderlo in uno stato fangoso e puzzolente e perciò impraticabile. Nel 1838 la Decuria deliberava una spesa di oltre 39 onze per lavori di sistemazione del selciato del piano innanzi la fonte Giarritella e le strade che da detta fonte si collegavano con l’imboccatura dello Stretto ed inoltre fare un delfino (inghiottitoio) vicino alla gebbia grande, ove tutta l’acqua si andava a raccogliere per poi precipitare nel vallone di Favara. Nel 1860 la situazione di Giarritella si può così riepilogare. Le falde acquifere, di cui erano (e sono) ricche le piane Nuara e Traversa fino ad arrivare al Conzo, alimentavano una cisterna (A) situata nel punto d’incontro delle attuali vie Crispi e Ugo Foscolo, di fronte la chiesa dell’Itria (B), da cui si dipartiva un acquedotto interrato che percorreva una linea di confine di terreni - oggi via Quintino Sella – (U) fino ad arrivare in c.da Giarritella, più precisamente ai piedi della massa rocciosa di S. Rocco, su cui era abbarbicata l'omonima chiesetta fondata da eremiti (già esistente nella metà del 1500 e caduta in rovina nella seconda metà del 1800) (M). Detta massa rocciosa già nel XVIII secolo era una cava a cielo aperto e nell’arco di due-tre secoli è stata ridotta nel suo volume fino a scomparire nella seconda metà del 1900. Della chiesa è scomparsa ogni traccia nella seconda metà del 1800. Quello che oggi si vede di “S. Rocco” sono gli edifici poveri ottocenteschi abbarbicati nella parte rocciosa rimanente e il muro di sostegno che ricopre la stessa. Il detto acquedotto alimentava, ai piedi della massa rocciosa di S. Rocco, la fonte di Giarritella (U), dove l’acqua sgorgava da appositi cannoli. L’acqua di sopravanzo alimentava una prima gebbia (N) che serviva come pubblico lavatoio, da cui, tramite condotta interrata, l’acqua in esubero alimentava il mulino a vapore di Francesco Cafisi (L) - la cui struttura, ancora esistente, oggi è adibita ad abitazione - distante dalla fonte una cinquantina di metri. L’acqua di sopravanzo del mulino a vapore alimentava altre due gebbie (O e P) ed una vasca bitumata (Q) la cui acqua serviva ad irrigare alcuni orti limitrofi. Le tre gebbie erano situate sul luogo dove recentemente il Comune ha costruito una nuova struttura. L’acqua che fuoriusciva dalle dette gebbie e dalla vasca, riversandosi a terra, scorreva liberamente, attraversando il terreno oggi occupato dalla via Luigi La Porta (R) fino a dividersi in due tronconi, il primo (R1) percorreva l’area oggi interessata dalla piazza della Vittoria (Conzu) fino ad arrivare ad un ponticello, a valle dell’attuale piazza (S), per immettersi nel vallone di Favara (T). L’altro troncone (R2) percorreva le attuali vie Galiano e  Fonte Canali, fino ad arrivare nei pressi di Cicchillo, per immettersi nel Vallone di Favara. A Cicchillo la corrente d’acqua che si creava era tale da azionare una grossa ruota con pale di legno di un mulino (per alcuni anni il più grande) per la macinazione del grano detto di “frate Bongiorno”, di proprietà, appunto di detto frate e del barone Giuseppe Mendola. L’acqua di sopravanzo delle gebbie che scorreva a cielo aperto, oltre che alimentare il vallone, veniva utilizzata dai contadini per irrigare le terre ortalizie che si trovavano a valle del paese. Per diversi anni gli ortolani hanno avuto dei forti dissapori, sfociati in un lungo processo legale contro Francesco Cafisi per usurpazione a acqua pubblica. Nel 1853 si riuniva il Decurionato ed in tale circostanza il Sindaco diceva che essendosi moltiplicata la popolazione ed anche il numero di animali, la fonte non era più sufficiente a soddisfare il fabbisogno e ne sorgevano continui inconvenienti con conseguenti lamentele da parte delle lavandaie. Si rendeva necessario pertanto diroccare la piccola gebbia contigua all’abbeveratoio e ricostruirla in altro punto contiguo. Tra il 1865 e 1871 la Giunta Municipale interessava l’ing. capo Carrelli per ricercare la causa di questa diminuzione e quest’ultimo, con accurata relazione, addebitava tale deficienza ad alcune perdenze nel condotto dell'acqua, accennando ai pronti rimedi. La Giunta, tenuto conto di quanto esposto nel rapporto ed in considerazione dell'approssimarsi della stagione estiva, in linea d'urgenza, deliberava sulla nuova costruzione del corso d'acqua della Giarritella ed acconci alla casa dell'acqua, nel tentativo di rinvenire altra acqua; di chiamare con urgenza l'ing. Raimondo Amodei per preparare un progetto. Nel 1872 si riuniva il Consiglio Comunale e deliberava di costruire la nuova conduttura dell'acqua della Giarritella con le modifiche nella sorgente cosiddetta casa d'acqua, secondo il progetto di massima redatto dal citato dall'Amodei. Durante i lavori sorsero questioni fra il Comune e l'impresa di Benedetto Sajeva. Detto Sajeva infatti pretendeva maggiori compensi derivanti dalla difficile manipolazione della pietra della cava della Grazia di Arrigo (o Grazia Lontana) utilizzata al posto di quella stabilita della cava di Fucile, in detto luogo venuta a mancare; inoltre il previsto gradino alla base della fonte ordinato dal perito venne costruito diversamente. Da un prospetto doveva essere attinta l'acqua da parte delle persone, mentre dal prospetto opposto l'acqua doveva servire per gli animali. Il gradino in quest'ultimo prospetto risultava d'inciampo. Si stabilivano le condizioni per l'appalto delle opere per le tubiature che doveva avere una lunghezza di m. 348,30, da eseguirsi con tubi di ghisa, giusta il progetto redatto dall'Ufficio Tecnico Provinciale di Girgenti. Nel 1872 il Comune si trovava costretto ad affrontare una rilevante spesa per detti lavori, a seguito dei quali, però, veniva assicurata una portata d’acqua alla fonte dal 1873 al 1879 di litri 2,78 al secondo, ma rimaneva insufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione. Dal 1879 la continua siccità provocava il prosciugamento di diverse sorgenti con conseguente travaglio per la gente. L’acqua di Giarritella diminuiva vistosamente, al punto da destare preoccupazione al Comune, il quale, per assicurarsi se la causa era dovuta ad eventuali dispersioni lungo la conduttura, nel gennaio 1882, quando la portata raggiungeva litri 1,25 al secondo, chiamava degli esperti ed attraverso opportuni saggi constatava che non esisteva alcuna dispersione lungo la conduttura. Vista la situazione il Comune chiamava l’ing. Ignazio Tedeschi per un parere, il quale, dopo avere visitato i luoghi ha evidenziato che, in relazione allo stato dei luoghi ed alla stratigrafia del terreno, l'acqua di Giarritella doveva appartenere a quella specie chiamata "di cinta", pensando che fra la Montagnella e S. Francesco doveva esistere un bacino acquifero. Per rinvenire nuove acque ha quindi proposto di espropriare i pozzi esistenti nel giardino Contino oppure di eseguire un pozzo nel terreno fuori della cinta del detto giardino e, sia nell’uno, che nell’altro caso, intubare l’acqua e condurla in un punto di scarico favorevole. Nella seconda metà del 1800 esistevano in Favara tre fonti d'acqua d'uso pubblico: Burgelamone, Giarritella, Canali, oltre un pozzo denominato Monzù. L’unica fonte d’approvvigionamento per uso potabile era, però, Giarritella. Il pozzo di Monzù pur avendo una portata notevole, ricadeva dentro proprietà privata e l’acqua raggiungeva un livello alto solo nei periodi di piena. Per quanto riguarda l'acqua della fonte Canali, secondo l’ing. Ignazio Tedeschi, questa scaturiva da diversi strati di un banco di roccia calcare e che a causa dell’evaporazione prodotta dalle azioni atmosferiche, le falde degli strati superiori si erano esaurite e la sorgente veniva alimentata dai soli strati inferiori. Non avendo il condotto, che smaltiva dette acque alla fonte, una sensibile pendenza, succedeva che le acque restavano latenti all'interno dei meandri del sottosuolo roccioso. Per il pozzo Monzù scriveva che le acque di questo pozzo erano colatizie di terreni a monte e per migliorarne il volume bisognava aumentarne il diametro, rivestendolo con anelli di muratura in calce e a secco. Prestandosi poi la posizione altimetrica del terreno invece di attingere l’acqua con l’uso di secchi, si poteva tubulare e condurla in una fonte da piazzarsi nel punto d’incontro della trazzera di S. Calogero con la trazzera di Cicchillo. Intorno al 1880, per cause di siccità, la portata dell’acqua di Giarritella si abbassò notevolmente creando problemi alla comunità favarese, tanto che l’Amministrazione, sotto la sindacatura di Salvatore Cafisi, dovette cercare di arginare il problema costruendo un provvisorio bevaio in legno. Nel 1883 diede incarico all’ing. Capitò da Palermo per studiare una soluzione al problema. Nel progetto il Capitò ha previsto la sistemazione del piazzale e la realizzazione di un nuovo bevaio con vasca orlata di pietra calcarea e fondo in tufo intonacato e testata in tufo di Girgenti con, ai lati, due stemmi municipali. Nel 1884 cambiava Amministrazione, con il dott. Antonio Valenti sindaco. Dopo varie peripezie la nuova Amministrazione decise di far modificare il progetto del bevaio dal perito comunale Salvatore Dulcetta, perché ritenuto inidoneo nei materiali e nella grandezza. Col nuovo progetto il bevaio (Z) fu previsto tutto in pietra calcarea e più lungo di cinque metri rispetto a quello del precedente progetto (v. foto seguenti).  La gara d’appalto venne espletata il 10 settembre 1885 col metodo della candela, rimanendo aggiudicatario il “murifabro” Calogero Re di Salvatore, col ribasso del 2%. Il lavoro fu diretto da Salvatore Dulcetta, con la sorveglianza del perito agronomo Antonio La Russa di Giacomo. La pietra per la pila e gradini venne prelevata dalla cava di Grazia lontana e quella per il bevaio e cornice di coronamento dalla c.da Saraceno. L’opera venne iniziata verso la fine del 1885 e collaudata alla fine di giugno 1886, con un costo complessivo di lire 12.713 e centesimi 55. Negli anni “60 del secolo scorso i nostri assennati amministratori, vista la sua inutilità, ignari del valore storico-artistico, hanno pensato (sic) di farla demolire; qualche pezzo intagliato della vasca oggi si trova nei pressi dello stadio comunale, mentre la testata, pare, sia andata a decorare la villa di un personaggio politico. Nel 1877, dopo un travaglio durato un cinquantennio, veniva aperto il primo cimitero di Piana Traversa a Favara, ma a pochi anni dalla fondazione sembrava destinato a chiudere a seguito di paure sorte per possibili inquinamenti delle falde acquifere che alimentavano la fonte Giarritella, timore condiviso dalla Commissione Sanitaria provinciale e dal Prefetto.

Nel 1885 faceva nuovamente comparsa il morbo colerico e Favara era già stata abbastanza provata dalle tristi esperienze del 1837 e 1867. Nello stesso anno veniva convocata la Commissione Sanitaria Municipale Favarese per studiare i modi per prevenire l’invasione del colera e così si esprimeva nei confronti del cimitero: Ritenuto che l’attuale cimitero, per il luogo ove sorge, è una continua minaccia alla salute pubblica, imperocché oramai si conosce essere costruito nel centro del bacino delle nostre acque, e per la sua orientazione i venti dominanti, passando su di esso, attraversano l’abitato, per cui, essendo nella coscienza di tutti che le acque possono venire a noi inquinate ed i venti saturi di miasmi, quel cimitero è dal pubblico condannato all’abbandono fa voto acciò il Consiglio Comunale, partendo dal concetto di abbandonare l’attuale cimitero in Piana Traversa, siccome minaccia permanente della salute di Favara, volesse iniziare le pratiche per la costruzione di un altro cimitero in contrada Sanfilippo (il cimitero nuovo), che per ogni riguardo si presta idoneo. La relazione veniva accettata dal Consiglio Comunale con deliberazione del 14 marzo 1886. Alla fine del 1885 si dava corso alla progettazione di un nuovo impianto cimiteriale in c.da Sanfilippo-Scorsone e veniva dato incarico ai periti comunali Salvatore Dulcetta ed Antonio La Russa. Nel frattempo il colera interessava, anche se in maniera lieve qualche comune viciniore a Favara, mentre questa fortunatamente rimaneva illesa. 1888 la Giunta Municipale deliberava alcuni provvedimenti per scongiurare possibili insorgenze del morbo a causa della probabile esistenza del bacino acquifero che alimentava la fonte Giarritella sotto il cimitero. Il 26 novembre 1893 il Comune provvedeva a chiudere alcuni pozzi del bacino Guardia-Piana per dare più salubrità all’abitato e per prevenire il colera. Nel dicembre 1895 dietro incarico del Prefetto, il medico provinciale De Gaetano e l’ingegnere delegato Crusco formulavano un lungo rapporto sulle condizioni igienico-sanitarie del cimitero di Piana Traversa ed in proposito scrivevano: ... A nord nord-est dal Paese giace una dolce vallata sormontata da una catena di colline, che lievemente innalzandosi sui lati orientale e settentrionale, ripidamente si eleva a ponente, formando la così detta Montagna Saraceno; questa vallata, insieme con le colline che la incoronano, forma il bacino idrografico della località. Verso il piede del versante ovest della stessa vallata, a m. 500 a nord dell’abitato, e precisamente sull’estrema falda orientale del Monte Saraceno giace il Cimitero di cui trattasi, ed a m. 637 da esso, proprio nel prolungamento della linea di massimo declivio, trovasi la sorgente Giarritella, che fornisce l’acqua potabile al Paese. Per le ricerche, relative alla natura del sottosuolo ed alle acque sotterranee, ci siamo giovati di speciali pozzi di assaggio, fatti scavare intorno al perimetro del Cimitero, e di pozzi attualmente esistenti nei dintorni, e pei quali, oltre alle nostre dirette osservazioni, abbiamo curato di accertare le maggiori notizie possibili. Nella sezione dei pozzi di assaggio, scavati in corrispondenza del centro rispettivo dei lati nord, ovest, e sud del Cimitero, per la profondità di oltre tre metri, abbiamo riscontrato i seguenti dati: Per l’altezza di metri due terreno vegetale, calcare argilloso, nerastro molto assorbente, e sufficientemente poroso; al disotto segue uno strato sedimentario formato di detriti calcarei, misti a terriccio giallognolo di trasporto. Per la natura permeabile degli strati ora descritti, gli scavi procedettero allo asciutto, non lasciando scorrere traccia nemmeno di acqua d’imbibizione. Tra i pozzi esistenti nella località ci siamo specialmente occupati di quello di proprietà del signor Bruccoleri, sino a 50 metri dell’angolo nord-est del Cimitero, sia perché il più vicino al Cimitero stesso, sia perché scavato nella linea di massima pendenza della vallata, quasi in direzione della sorgente dell’acqua potabile (detto pozzo, con un casotto rurale venivano demoliti intorno al mese di settembre 1996, durante i lavori di ampliamento del cimitero). Dalle nostre dirette osservazioni, dalle notizie sul luogo raccolte e dai dati fornitici dal perito tecnico comunale, signor La Russa, le condizioni riguardanti il pozzo in parola sono le seguenti: L’acqua, che nei periodi di piena raggiunge un’altezza massima di m. 0,30 giace a 11 metri dalla superficie del suolo. La stratificazione del terreno fino alla profondità di m. 5,70 è identica a quella riscontrata negli scavi di assaggio; in giù segue un calcare semicompatto. In quella località dunque le acque pluviali, prima di raggiungere la falda liquida sotterranea scorrente, filtrano attraverso uno strato, più o meno permeabile, dello spessore di 11 metri. Le acque della sorgente comunale, raccolte con appositi scavi, scorrono nel sotto suolo della località a suo luogo indicata, alla profondità di m. 4,50 fra strati calcarei, simili a quelli trovati nel pozzo Bruccoleri. Al disopra di questi strati calcarei, per l’altezza di m. 1,50 si trova terreno marnoso, e quindi una zona vegetale calcareo-argillosa per lo spessore di m. 2. Il pelo dell’acqua della sorgente comunale sottostà a quello del pozzo Bruccoleri di m. 2,80 circa, rispetto al piano di livellazione. Da questi dati può dedursi il concetto dello spaccato geologico del sottosuolo, lungo la linea del massimo declivio, che segue nella direzione nord-sud, e si può ritenere come accertata la relazione che passa tra la sorgente delle acque sotterranee di quella contrada. Ciò posto, potrà il cimitero di Piana Traversa riaprirsi all’esercizio, allo scopo indicato in principio, senza pregiudizio della salute pubblica?. Se si trattasse di un provvedimento di elezione, noi non esiteremmo un momento a respingere la proposta, per la semplice considerazione dei rapporti di ubicazione, esistenti tra il cimitero di Piana Traversa e la sorgente delle acque potabili a cui Favara attinge. Ma di fronte a un Comune, costretto a ricorrere a un espediente di necessità, per provvedere al seppellimento dei propri defunti, a cui è sufficiente l’attuale cimitero angusto e giacente su suolo inadatto, abbiamo sentito il dovere di portare la nostra attenzione su tutti i particolari. Già, data la condizione del terreno, per tutti i riguardi capace di favorire la completa nitrificazione dei cadaveri, data la profondità, a cui, in quella zona si trovano le acque sotterranee, potendo ritenersi sufficiente, un filtro naturale dello spessore di undici metri per la depurazione da ogni inquinamento, noi dovremo conchiudere, che in caso di necessità, potrebbe anche concedersi il seppellimento per inumazione, relativamente con poco o nessun pericolo della salute pubblica. Trattandosi poi di permettere la tumulazione fuori del terreno, in tombe costruite secondo le prescrizioni rigorose dei vigenti regolamenti, tanto da avere sufficiente sicurezza di una relativa impermeabilità delle pareti delle tombe stesse, e trattandosi di numero relativamente scarso di tali tumulazioni (riservate alla classe privilegiata dalla fortuna) crediamo che senza pericolo alcuno, si possa al Comune di Favara accordare il permesso chiesto. In questi anni sono nati tre nuovi quartieri, in ordine di tempo:

- il primo (X) sulle terre di Gaspare Dulcetta, contornato dalle vie della Guardia (ora via Cappello), S. Rocco e V. Emanuele;

- il secondo (Y) sulle terre della famiglia Mendola, fra il Conzo e Giarritella;

- il terzo (J) ad opera del barone Antonio Mendola, sull'estremo lembo ovest delle sue terre di c.da Piana dei Peri, oggi prospicienti la via Beneficenza Mendola. Durante il processo di urbanizzazione delle terre dei Mendola a nord-est del Conzo, il Comune ha realizzato una condotta in pietra da taglio, tale da essere attraversata dall'uomo, dove ha fatto confluire l'acqua di sopravanzo del bevaio Giarritella, fino al vallone. Detta condotta in parte percorre il tratto sottostante il largo marciapiede di via Luigi La Porta.