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Memorie storiche di Favara di Carmelo Antinoro

FERROVIA

 

Le ferrovie a scartamento ridotto in Sicilia

 

 

 

 

La Rete ferroviaria FS a scartamento ridotto della Sicilia è stata una vasta rete di ferrovie, progettata ai tempi della gestione provvisoria delle Ferrovie Meridionali, proseguite dalla Rete Sicula e costruite dalle Ferrovie dello Stato, che si snodava sul territorio di cinque province: Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Enna; oggi interamente dismessa.

Le origini progettuali di alcune tratte della rete risalgono agli anni settanta del XIX secolo, ma la costruzione ebbe inizio più tardi ed attuata, in alcuni casi, talmente a rilento da giungere alla soglia degli anni sessanta del XX secolo ed essere infine abbandonata.

L'ottica primaria era quella di poter convogliare sul capoluogo i vini, i prodotti agricoli, il pesce dei porti del Mediterraneo. I lavori, subconcessi nel giugno del 1883 all’imprenditore inglese Robert Trewhella iniziarono il 20 aprile 1884 e il 20 dicembre 1886 portarono all'inaugurazione dell'intera tratta Palermo-Corleone. Il prolungamento verso Castelvetrano e la costa sud venne affidato in concessione alla Società Siciliana per le Ferrovie Economiche l'11 dicembre 1898; tuttavia la Corleone-San Carlo fu inaugurata solo il 21 maggio 1903.

Mentre proseguiva, pur lentamente, la costruzione della rete fondamentale a scartamento normale la costruzione delle altre linee secondarie subì una lunga battuta d'arresto, se si eccettua la costruzione della Ferrovia Circumetnea (ferrovia privata in concessione), costruita dalla Società Siciliana per lavori pubblici, di cui faceva parte lo stesso Trewhella, con il concorso di capitale privato e pubblico degli enti locali interessati (Provincia e Comuni) inaugurata tra 1895 e 1898. Le restanti linee da costruire subirono continue battute di arresto a causa di molteplici fattori tra cui primeggiarono le litigiosità tra i Comuni che, contribuendo con i propri capitali, richiedevano l'avvicinamento massimo, gli interessi delle compagnie zolfifere straniere o nazionali che non si curavano del trasporto passeggeri e tiravano i tracciati in modo da servire alle proprie miniere e non ultimo il tentativo della Società Sicula di costruire almeno le linee costiere, Castelvetrano-Porto Empedocle e Agrigento-Palma di Montechiaro-Licata, a scartamento ordinario. Tutto ciò portò il governo ad istituire una Regia Commissione che nel 1901 studiò il problema pervenendo tuttavia a delle conclusioni che sono considerate alla base della precoce obsolescenza della rete: Le linee dovevano essere a scartamento ridotto, costruite nella massima economia sia di materiali e infrastrutture che dell'esercizio, dovevano esaudire la maggior parte delle istanze e, sempre per risparmiare sul tracciato, potevano fare largo uso della cremagliera.

Le decisioni assunte portarono come conseguenza alla costruzione di linee tortuosissime e lente, su terreni soggetti a frane e smottamenti anche per avverse condizioni climatiche, prive di segnalamento e sistemi di esercizio efficienti, e soprattutto slegate da una qualsiasi ottica di razionalizzazione.

A ritardare ulteriormente la costruzione della rete ferroviaria contribuì il riscatto delle  stesse ferrovie da parte dello Stato e nel caso della Rete Sicula (essendo questa una emanazione della Società per le Strade Ferrate Meridionali) questo si concretizzò alla fine del 1906. I lavori di costruzione avviati dalla nuova direzione delle Ferrovie dello Stato iniziarono solo qualche anno dopo.

Il 20 giugno 1910 vennero attivati i due tratti afferenti la stazione di Castelvetrano, fino a Partanna di circa 10 km (primo tratto della linea per San Carlo e Burgio) e fino a Selinunte di 13 km (primo tratto della linea per Porto Empedocle).

Il 16 dicembre 1911 si diede inizio alla costruzione del tratto Porto Empedocle-Siculiana (circa 14 km)

La prima ferrovia completa a vedere la luce, tra 1911 e 1915, fu la Canicattì-Licata, concepita in funzione delle richieste dell'industria mineraria dello zolfo, allo scopo di far giungere il minerale estratto ai caricatori portuali d’imbarco di Licata e Palma di Montechiaro e per permettere lo spostamento degli zolfatari che dalle varie località di residenza si recavano nelle varie miniere zolfare disseminate nel territorio dei Comuni dell'area tra Canicattì e il mare.

Per quanto riguarda la linea costiera Castelvetrano-Agrigento, all'inizio i lavori procedettero abbastanza spediti e nel febbraio del 1914 veniva raggiunta Sciacca; tuttavia solo il 2 luglio 1923 la linea si saldava al resto già costruito verso Porto Empedocle e, inspiegabilmente, solo il 20 maggio 1951 Porto Empedocle veniva collegato ad Agrigento Bassa (9,4 km) obbligando i viaggiatori ad un doppio trasbordo che rendeva, con l'andar del tempo, sempre meno conveniente l'uso del treno per recarsi dalle città della provincia al capoluogo.

L'altra linea che da Castelvetrano puntava verso Santa Ninfa, attraversando vari Comuni della Valle del Belice, per poi piegare verso San Carlo e connettersi alla linea proveniente da Palermo (realizzando il completamento della trasversale nord-sud a scartamento ridotto), dopo l’inizio dei lavori del primo tratto, procedette sempre più lentamente e vide il suo completamento solo nel 1931, mentre nel 1935 si arricchì del ramo deviato fino a Salemi (che nelle intenzioni avrebbe dovuto proseguire verso Trapani, ma che si arrestò dopo la costruzione di un tratto successivo mai attivato.) Nello stesso periodo venne attivato il proseguimento su Burgio che avrebbe dovuto raggiungere la costa a Bivio Greci, ma che non vide mai il suo completamento.

Nel 1912 venne inaugurato il primo tratto con cremagliera tra la stazione di Lercara bassa, della linea Palermo-Catania, e la cittadina di Lercara Friddi; si trattava dell'unico grande bacino zolfifero del palermitano e quindi sede di movimento di merci e di zolfatari.

Nel 1914 venne raggiunta Filaga ma dopo di ciò, solo nel 1918 venne raggiunto il grosso centro di Prizzi e Palazzo Adriano, ma non prima del 1924 si poté vedere il proseguimento della linea verso sud, fino al Magazzolo e la costa, nonostante si trattasse di collegare l'altro importante bacino zolfifero di Cianciana a Porto Empedocle per l'imbarco.

Quanto al resto della rete isolana a scartamento ridotto ricadente nella Sicilia centrale che, a causa dell'abbandono della costruzione della ferrovia Canicattì-Caltagirone, rimase sempre isolata dal gruppo di linee della rete occidentale e i primi chilometri videro la luce sempre in funzione e nell'interesse dei bacini zolfiferi di Floristella, Grottacalda e Assoro-Leonforte. Si trattava del gruppo di linee collegate Dittaino-Piazza Armerina-Caltagirone e Dittaino-Leonforte; La prima tratta, avente inizio dal piazzale esterno della stazione di Assoro, di 13,856 km, entrò in esercizio soltanto il 25 aprile 1912 e si trattava di una delle più difficili a causa della forte ascesa che veniva superata mediante due tratti a cremagliera. Il secondo tratto di linea di 7,36 km entrò in funzione il 29 agosto 1914 e congiunse Valguarnera alla stazione di Grottacalda, costruita in prossimità del complesso minerario di Floristella-Grottacalda, munito di raccordi e ferrovie Decauville, dove lavoravano migliaia di zolfatai. A riprova di quanto poco fosse tenuto in considerazione il trasporto di persone: Piazza Armerina venne raggiunta solo il 7 settembre 1920, mentre Caltagirone venne raggiunta nel 1930 e realizzata talmente in economia da presentare quasi subito cedimenti e frane, con conseguenti deragliamenti.

Nel 1918 venne aperto il primo tratto della ferrovia per Assoro e Leonforte che nelle intenzioni avrebbe dovuto proseguire verso Nicosia con una stazione intermedia, Bivio Paternò, dalla quale un ramo diramato avrebbe dovuto scendere in direzione della valle del Simeto a raggiungere (probabilmente) la ferrovia Circumetnea. Anche in questo caso i lavori procedettero con lentezza, concludendosi nel 1923 con l'arrivo a Leonforte.

A partire dagli anni venti del secolo scorso entrava in crisi irreversibile l'esportazione dello zolfo (a causa della concorrenza statunitense che aveva monopolizzato i mercati) e venivano meno molti dei motivi per cui tante tratte erano state progettate. Nonostante il mutare degli eventi, si preferì continuare a costruire stancamente quanto programmato, salvo poi ad abbandonarlo. Il restante tratto verso Nicosia, della Dittaino-Leonforte venne in parte realizzato ma mai armato; la diramazione Bivio Paternò-Regalbuto-Paternò-Motta Sant'Anastasia si trascinò tra rinvii e rielaborazioni, venendo poi costruita solo nella parte sud, a scartamento normale, come Regalbuto-Catania, ed aperta interamente molto più tardi, nel 1952, senza alcuna connessione che ne assicurasse un pur minimo traffico di viaggiatori da Leonforte ed Agira.

La Caltagirone-Piazza Armerina venne aperta solo nel 1930 con la previsione di un allacciamento a San Michele di Ganzaria della, anch'essa costruenda, ma mai completata né aperta ferrovia Canicattì-Caltagirone.

Venne iniziata anche la costruzione della Santa Ninfa-Salemi-Trapani e, dopo l'apertura del primo tratto e la costruzione di un secondo mai aperto, venne abbandonata per sempre.

Fra il 1928 ed il 1930 viene dato avvio ad un altro progetto, che anche se in buona parte costruito non vide mai la luce: quello della Palermo-San Cipirello-Camporeale-Salaparuta, collegandosi alla linea Castelvetrano-San Carlo in quest'ultima stazione.

Gli anni "30 videro anche l'inizio della costruzione della tratta Caltagirone-Gela (Terranova), di 45,5 km, approvata sin dal 1911 e inserita tra quelle di quarta categoria a scartamento ridotto, che avrebbe diminuito il percorso totale da Catania (pur sempre con trasbordo) a circa 135 km, molto più breve degli itinerari via Canicattì (231 km) e via Siracusa/Ragusa (268 km). Opportunamente però il 24 novembre 1921 il Regio decreto n.1696 volle trasformato il progetto a scartamento ordinario (insieme a quello della costruenda per Canicattì in parte già costruita a scartamento ridotto). Venne realizzata a rilento, qualche opera d'arte, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1939, fermò tutto.

Nei primi anni "50 venne riaggiornato ancora una volta il progetto: I lavori iniziarono nell'aprile 1952 e l'apertura avvenne nel novembre 1979. Di tutto il programma quest'ultima tratta della rete realizzata a scartamento normale, fu l'unica a sopravvivere alla politica dei tagli.

Nonostante si continuasse stancamente a costruire fino al dopoguerra, nulla venne fatto per ammodernare l'esistente o velocizzare il servizio se si eccettua l'immissione, nel 1950, di 25 nuove automotrici del tipo RALn60 su alcune linee, mentre il resto venne abbandonato alle percorrenze incredibilmente lunghe della vecchia trazione a vapore (velocità media 15-20 km/h). I tagli e le chiusure iniziarono a partire dalla metà degli anni “50 e proseguirono fino alla soglia degli anni “60. Il gruppo delle ferrovie centrali scomparve all'inizio degli anni “70 e l'ultima linea chiuse i battenti alla fine del 1987. Per alcune si trattava di provvedimenti doverosi, essendo venuto meno lo scopo industriale per cui erano nate, per altre come la Dittaino-Piazza Armerina-Caltagirone, la Castelvetrano-Salaparuta e la Castelvetrano-Agrigento si trattò di un provvedimento discutibile, dato che il traffico pendolare esistente si manteneva su buoni livelli e venne distolto forzatamente a causa della mancata velocizzazione dei servizi e delle linee, degli orari a volte impossibili e delle interruzioni lunghissime per lavori tutto sommato semplici.

Le costruzioni, tutte di pertinenza del Ministero dei Lavori Pubblici, dopo la sospensione del periodo bellico, vennero riprese, seppure a rilento, alle soglie degli anni cinquanta, quando venne fatto da parte FS anche l'unico concreto tentativo di rilancio di alcune linee con l'introduzione dell’Automotrice RALn60. La positiva esperienza provocò un deciso rilancio del trasporto viaggiatori, dato che dimezzava i tempi di trasporto, (con vendita di biglietti aumentata tra il 25 e il 40 % sulle linee ove fu messa in esercizio e, nel caso della tratta Piazza Armerina-Caltagirone, addirittura raddoppiata) ma l'esperienza, non solo non venne estesa a tutta la rete, ma le 25 unità costruite rimasero l'unica fornitura.

Molte linee rimasero con trazione a vapore e percorrenze bibliche. Non venne mai operato, inoltre, alcun riammodernamento dell'armamento e dei sistemi di esercizio, e spesso non si fece neanche la manutenzione corrente delle linee, preferendo abbassare ancor di più la già bassa velocità a 25-35 km/h, istituendo rallentamenti a passo d'uomo, spesso con fermata e pilotaggio dove le frane mangiavano il territorio ad ogni temporale. Non meraviglia il fatto che appena fu possibile l'utenza cercò mezzi alternativi come la propria automobile, il motociclo o l'autolinea privata concorrente.

Negli anni cinquanta si andava affermando la teoria dei rami secchi da tagliare, anche alla luce della diffusa convinzione, negli ambienti politici, che il treno fosse un mezzo ormai superato e che l'autotrasporto fosse il futuro: ciò fece si che si chiudessero anche tratte nelle quali era ancora presente un buon traffico pendolare.

 

 

La tratta ferroviaria

Agrigento-Favara-Naro-Licata

con diramazione a Margonia, per Canicattì

 

Stazione di c.da Nicolizie (1920 ca.)

Casello ferroviario in contrada Nicolizie a Favara durante la costruzione (1920 ca.)

 

Locomotiva Gruppo R370 e vagoni

Casello ferroviario in contrada Nicolizie e locomotiva Gruppo R370 e vagoni

Casello ferroviario in contrada Nicolizie

 

Locomotiva Gruppo R370 con vagoni in contrada Cicchillo

Locomotiva Gruppo R370 con vagoni in contrada Cicchillo

 

 

La tratta ferroviaria Agrigento-Naro-Licata, con diramazione a Margonia per Canicattì, era a scartamento ridotto, con parti dotate di cremagliera e collegava la stazione di Girgenti con alcune importanti miniere di zolfo della Provincia di Caltanissetta e i grossi centri di Naro, Palma di Montechiaro e Licata. La ferrovia venne concepita in funzione delle esigenze dell'industria mineraria dello zolfo, allo scopo di far giungere il minerale estratto ai caricatori d’imbarco di Porto Empedocle, Licata e Palma di Montechiaro e per permettere lo spostamento degli zolfatai che dalle varie località si recavano nelle miniere disseminate nel territorio dei Comuni circostanti. Ma, come tante altre linee secondarie della Sicilia, fu costruita con grande ritardo rispetto alle necessità; progettata in seguito alla Legge Baccarini del 1879, in assoluta economia, a scartamento ridotto e con un tracciato tortuoso allo scopo di diminuire al massimo opere d'arte impegnative.

Fino al 1902, tuttavia, non venne realizzato nulla; a seguito delle conclusioni di un'apposita Regia Commissione e di una legge varata nel corso dell'anno venne ridefinita la modalità di costruzione e di finanziamento in assoluta economia definendo successivamente anche il percorso da realizzare: una tratta da Girgenti per Favara, Naro e Canicattì con diramazione a Naro per Palma di Montechiaro e Licata.

La realizzazione avvenne per tratte e a distanza di tempo: il 28 febbraio 1911 fu aperta la tratta tra Canicattì e Naro, il 4 dicembre 1911 fu raggiunta Camastra, infine il 7 ottobre 1915 il treno arrivò a Licata. I lavori successivi proseguirono a rilento anche a causa della guerra, così l' 8 maggio 1921 venne aperto il tratto Girgenti-Favara e il 30 dicembre 1921 quello tra Favara e Margonia (semplice posto di movimento in aperta campagna a due chilometri da Naro), dove venne creato il bivio per la diramazione per risparmiare sulla spesa (ma con notevole perdita di tempo per il regresso da Naro per i treni Girgenti-Naro-Canicattì).

Soltanto nel 1933, quando finalmente venne inaugurato il tratto di circa 3 km, a doppio scartamento, tra la stazione di Agrigento bassa e quella centrale, i treni da Naro e Licata poterono giungere fino al cuore della città; prima di allora per Agrigento si doveva cambiare mezzo di trasporto: calesse, mulo o caval di San Francesco. La linea, quindi, era stata realizzata ma in assoluto ritardo sui tempi: il commercio degli zolfi delle zone di Favara, Naro e Palma era ormai sceso a livelli notevoli, dato che l'apertura della linea ferrata dal nisseno verso il porto di Catania aveva reso più conveniente e meno costoso lo zolfo dell'area Caltanissetta-Enna. Ma soprattutto con l'apertura, nel 1881, del tronco di linea da Campobello a Licata, le zone suddette vennero del tutto tagliate fuori dato che il trasporto dello zolfo su carriaggi a trazione animale costava circa il doppio di quello spedito per ferrovia.

La linea risultò quindi passiva e soprattutto obsoleta già sin dall'inizio. Nata per gli scopi industriali dell'area, assolveva malamente quelli di trasporto dei viaggiatori. Una certa quantità di prodotti agricoli come frutta secca, cereali, ortaggi, legumi secchi e oli alimentava il traffico ferroviario, ma lo sviluppo del trasporto su strada la instradò ad un lento declino, data la bassissima velocità commerciale dovuta alla cremagliera.

Il servizio ferroviario venne completamente soppresso il 28 settembre 1958. La chiusura della linea e il suo smantellamento vennero decise con Decreto del Presidente della Repubblica n.875 del 26 agosto 1959. Tale atto fu oggetto di un contenzioso per conflitto di competenza tra la Presidenza della Regione Siciliana e il Ministero dei Trasporti su cui dovette pronunciarsi la Corte Costituzionale con la sentenza n.13 del 1960 (di seguito riportata).

Il percorso, partendo da Agrigento Bassa, prevedeva un primo tratto a cremagliera per raggiungere la stazione di Favara a 291 m s.l.m. oltre la quale si scendeva nel bacino zolfifero all'interno del quale si trovavano la stazione per il carico del minerale, zolfare Deli, e una fermata successiva al Deli, per gli zolfatai che si recavano all'accesso delle miniere. La linea proseguiva ancora in salita verso il Bivio Margonia al quale non corrispondeva alcuna località ed aveva il solo scopo della diramazione per Canicattì. La linea continuava a salire fino ai 419 m di Naro, dopo di che iniziava a scendere verso Palma di Montechiaro, giungendo sulla costa, a torre di Gaffe, terminando la corsa a Licata la cui stazione era allacciata al porto mediante un raccordo a doppio scartamento di poco meno di 1 km.

 

 

Locomotiva Gruppo R370

 

Locomotiva Gruppo R370

Biglietto ferroviario Agrigento C.-Favara, anno 1942

 

 

La linea venne armata con rotaie da 27 kg/m montate su traverse di legno distanti 0,82 m l'una dall'altra. Nei sei tratti a cremagliera, complessivamente 10,8 km, questa, del tipo Strub da 44 kg/m, era montata al centro del binario fissata alle stesse traverse montate a distanza inferiore. Il raggio di curvatura minimo era di 100 m e la pendenza massima era del 75 per mille sulle tratte ad aderenza artificiale. Tale tipo di costruzione, molto in economia, permetteva solo basse velocità di linea non superiori a 30 km/h per i treni a vapore e a 45 km/h per le automotrici nei tratti ad aderenza naturale. La breve diramazione Canicattì - Bivio Margonia non aveva tratti a cremagliera e la pendenza massima era del 25 per mille.

L'esercizio, come per le altre linee della rete, venne svolto a dirigenza unica, con sede a Naro; le stazioni erano presenziate da semplici assuntori e prive di segnalamento, eccetto il semplice palo indicatore di fermata prima di impegnare le stazioni, sede di incrocio o di precedenza.

Per il servizio sulla linea vennero utilizzate le locomotive a vapore del gruppo R370. Non venne mai fatto alcun ammodernamento degli impianti fino alla chiusura, né vennero impiegate automotrici. Detta locomotiva aveva tre assi (locotender) e veniva alimentata a carbone.

Dette locomotive vennero progettate e costruite a partire dal 1909, in previsione dell'entrata in funzione delle ferrovie a scartamento ridotto della Sicilia a servizio dei bacini minerari zolfiferi delle province di Enna, Caltanissetta e Palermo, allora assai importanti dal punto di vista estrattivo ed economico. Il loro primo impiego fu nella conduzione di convogli per minatori e minerali dei bacini zolfiferi di Lercara, Cianciana, Grottacalda e Floristella.

Vennero utilizzate principalmente sulle linee:

  • Dittaino-Piazza Armerina-Caltagirone

  • Dittaino-Assoro-Leonforte

  • Ferrovia Agrigento-Favara-Naro-Licata

  • Ferrovia Lercara-Filaga-Magazzolo

  • Ferrovia Filaga-Palazzo Adriano

 

 

Io non arriverò a vederle queste bramate ferrovie ... Le vedrò dall'altro mondo

(riflessioni del barone Antonio Mendola)

 

 

Quante cose, quanti avvenimenti ho visto nella mia vita!. Uno sguardo retrospettivo, una riflessione sui punti principali solamente mi riempie di meraviglia e di stupore.

Avvenimenti grandiosi, politici, religiosi, civili, industriali, scientifici, etc. Dai fiammiferi all’aereonavigazione, ferrovia, vapore elettrico, unità d’Italia, etc. Che diversità di tempi e di cose da quel tempo che io ero piccino ad oggi!.… L’Italia da quando è Italia, è una ed è stata per metà favorita per metà trasandata e quasi dimenticata. Il predominio è stato dei deputati nordici ed anche dell’alta burocrazia nordica. La sottomissione e l’inserimento è stata tutta a danno dei meridionali. I meridionali deputati e senatori più scarsi di numero sono stati sempre inerti e manomessi, i settentrionali piemontesi, lombardi, veneti, toscani, umbri, etc., si sono sempre bene intesi e reciprocamente aiutati. Questa differenza di trattamento si vedeva, si avvertiva da tutti, ma con una certa freddezza rassomigliante a nullismo. Tutte le grandi spese di opere pubbliche, ferrovie, canali, trafori di montagne, di porti, di arsenali, tutto per l’Italia settentrionale, nulla o pochissimo per la meridionale. Questa ingiustizia così lungamente protratta, finalmente ha scosso un pochino gli abitanti del sud e dei loro rappresentanti. Si è già passato dallo stato d’inerzia ad un certo formicolio e movimento; la Camera si è atteggiata in due fazioni o partiti: i nordisti e i sudisti, i settentrionali e i meridionali. I settentrionali vedendo prosperare le sorti e le finanze italiche vogliono volgere il vantaggio tutto a loro. …. La Sicilia reclama almeno la ferrovia tanto necessaria da Castelvetrano a Porto Empedocle. Ma no, nulla si deve concedere ai meridionali, essi sono deboli, disuniti, ciechi.

(1 dicembre 1901) Il sindaco con officio di oggi m’invita ad unirsi al municipio per andar incontro alla Commissione Reale che verrà in Favara il 3 corrente per vedere e ponderare tutte le circostanze favorevoli o sfavorevoli per la costruzione della ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle, coi prolungamenti Favara e Naro. A me sembrano tutte cose vane finora. Sta bene, anzi sarebbe male il contrario, fare le più care ed onorate accoglienze alla Commissione e quindi potendo anche io andrò, perché indosso la doppia veste di consigliere comunale e provinciale. La ferrovia necessaria più che utile, che avrebbe dovuto costruirsi molto prima è quella da Castelvetrano a Porto Empedocle. Questo tronco è vitale per commerci della ricca costa, apre le comunicazioni a grossi e ricchi Comuni e serve di linea strategica militare di terra e di mare per la reciproca difesa della flotta e dell’esercito e compie il giro per tutta l’isola. Ma gli allacciamenti o prolungamenti da Porto Empedocle per Favara e Naro non li intendo, né economicamente né strategicamente, anzi saranno tronchi passivi, non daranno passeggeri, viaggiatori e merci neppure per coprire il quarto della spesa d’esercizio. Si faccia nell’interesse nazionale almeno la linea per Castelvetrano e Porto Empedocle e sarà esaudito un voto ardente ed antico di questa povera Isola delapidata e tralasciata. Si fanno tante ferrovie superflue e di poco uso nell’alta Italia e nulla per la Sicilia e per una linea riconosciuta da tutti necessaria ed urgente.

Vedremo questa volta se la Commissione Reale si risolverà in fumo o se farà in effetti sorgere la bramata ferrovia.

(3 dicembre 1901) Oggi alle 2 p. m. è arrivata, proveniente da Girgenti, la Reale Commissione. Ignoro i nomi dei componenti, benché li abbia tutti avvicinati. Sono tornato dalla villa Piana appena finito il mio desinare, appena mi sono vestito mi sono recato alla casa comunale. I consiglieri comunali, i civili erano andati incontro alla Commissione a piedi nello stradale Favara-Girgenti. Giunsero in due carrozze, accompagnati dall’ing. Capo della Provincia Gibilaro e dall’avv. Vullo consigliere provinciale.

Erano quattro in tutto, quello che faceva da capo mi onorò di molte cortesie, mi strinse la mano, parlando con effusione e mi disse che era ben lieto di avermi conosciuto dopo averne inteso parlare molto. Che belli membri, si fa amicizia senza sapere, almeno da parte mia, il nome dell’ospite. Era una persona colta, ligure d’origine, noto però, in Alessandria di Piemonte, da molti anni dimorante in Roma al Ministero, credo dei lavori pubblici.

Da quanto mi è parso la ferrovia Favara non si farà. La ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle, toccando Sciacca, credo che si farà ed è necessaria e dovuta per giustizia, utilissima per commerci e valevole per le fatiche e difese militari litoranee e di costa.

Il prolungamento Favara è problematico. Abbiamo presentato uno statino delle condizioni economiche, del numero del movimento degli uomini e delle merci, del valore che circola in Favara. … Ho chiesto al bar. Rodini: “avremo la ferrovia?”, si è stretto le spalle e mi ha risposto: io sono membro di una sottocommissione che deve riferire ad una commissione speciale che riferirà direttamente al Governo, che cosa posso quindi dirle e accertarle?, nulla di positivo. Io ho disposizioni d’animo favorevoli e le esperirò a suo tempo. Favara è assai ricca e popolosa. Io sono unitario per eccellenza e quando si tratta di rafforzare i sentimenti e i vincoli che suggellano meglio l’unità mi ci metto con tutta l’anima. Io sono settentrionale e voglio favorire i meridionali, non solo perché lo meritano, ma altresì per corroborare i legami di fratellanza e di unitarismo, ma posso rispondere del mio parere personale non dell’esito finale e del buon esito. Io ripeto che la ferrovia non si farà. Sono 30 anni che si pesta e ripesta senza conclusione di sorta. Vi è stato trattamento di dolci di riposto fini, di pastine e di liquori forse di Gueli e si è servito pure un poncio in bicchieri. Queste mi paiono spese sprecate. Tanti famelici, tanti dolci, tante spese perdute e nessuno sta obbligato e grato. I pubblici trattamenti di gozzoviglia dovrebbero abolirsi del tutto, fanno male, è sangue dei poveri che si riversa nei bicchieri e nei vassoi per finire in latrina, ma certe convenienze alle volte sono imposte dalle circostanze e dalle autorità superiori. Il prefetto e la stampa hanno fatto pressione, hanno avvertito e quasi imposto di trattare onorevolmente la Reale Commissione.

Uno stuolo di monelli gridava a squarciagola, non so che parole, la mia sordità mi ha impedito di raccoglierle. Le donne, i curiosi, il popolo stava stivato nelle strade e nei balconi dove doveva passare la Commissione. Si aspettavano di vedere non so che grandi personaggi. Il popolo ingigantisce le cose. A me hanno fatto lieta accoglienza. Al largo Badia, nel metterci in carrozza, il capo della Commissione mi ha profuso tante cerimonie da farmi arrossire, in carrozza mi ha dato il posto d’onore. Io non volevo accettarlo ed egli per obbligarmi ad occuparlo si è seduto sullo sportello. Il popolo mi ha preso forse per qualche idoletto. Ho sofferto molto in questa scena. Mi è parsa una cosa simile a carnevalata. Fanno fumo e nulla di sodo. Dio voglia che io sia un falso profeta. In questa occasione, mentre ero nella casa comunale col segretario De Vecchi ho avuto il piacere di fare la personale conoscenza col pretore Gramitto. Mi sono messo a disposizione per tutto ciò che avrebbe potuto occorrergli, come dovere d’ospitalità. Io non feci in tempo di andare all’incontro della Commissione e poi le mie fisiche condizioni non lo avrebbero permesso. Mi sono limitato a fare gli onori di casa invece del sindaco assente. Io, essendo sordo, non posso ben distinguere le parole, molto più quando escono a vocio della folla. Ora ho saputo che la turba dei monelli che facevano baccano attorno alle carrozze dei commissari gridavano a squarciagola, abbasso i casotti, bruciate i casotti, alludendo all’abolizione dei dazi consumo. Voci insinuate da Menico Sajeva, forse, e compagnia bella, voci sediziose, che sogliono essere foriere di disordini e poi di ribellioni popolari. Meno male che quei signori non intendevano chiaro il suono e il significato dialettale e la pronunzia confusa. Si sarebbe formata un’idea poco buona della nostra popolazione, l’avrebbero conosciuta nuda e cruda come partecipante della stirpe barbarica africana. Che gioventù progressiva di Favara ispira queste belle trovate e sa inocularle nella plebe e nei ragazzi. Membri della Reale Commissione: presiedeva il barone Rodini, il cav. Ing. Severino, cav. Vincenzo Capello, Di Benedetto Vittorio, ing. Pietro Nencini. Mancava il cav. Balducci tornato a Roma per indisposizione. Pranzo all’hotel des temples in Girgenti la sera del 4. Nella prima corrispondenza inserita del Giornale di Sicilia proveniente da Favara, nel narrare l’arrivo della Commissione Reale si nominavano i consiglieri comunali e il provinciale Vullo, facendo il mio nome. Io rimasi mortificato, non per essere stato colpito nella vanità che non bado a simili sciocchezze, ma perché mi pareva di figurare manchevole ai miei doveri. Sono consigliere provinciale eletto in Favara, ma debbo prendere cura e difesa degli interessi della Provincia, preferendo specialmente quelli che riguardano Favara. Ora la vera importanza di questa linea ferroviaria si riferisce a Sciacca e Bivona, due circondari parti integrali della provincia.

Leggendo il Giornale di Sicilia che è sparso dappertutto, i cittadini di Sciacca e Bivona, vedendo la presenza del consigliere Vullo e l’assenza del consigliere Mendola in una faccenda di così vitale e grave importanza a cagione si possono dolere di me e della mia incuria apparente, poiché in sostanza io ero presente innanzi alla Commissione e perorai con calore la causa di Sciacca e Bivona, che tanto pur giova a Girgenti, Porto Empedocle e Favara. I miei lagni giunsero all’orecchio del dr. Gerlando Spadaro, autore di quella corrispondenza. Egli è buono. Nel n. 344 del Giornale di Sicilia, 14-15 dicembre egli ha largamente riparato ed ha detto più di quanto bisognava, di che gli sono grato.

… Nel Giornale di Sicilia n. 167 del 16-17 giugno 1902, ottava pagina, leggo che il 16 giugno la commissione della ferrovia complementare approvò la relazione Giusso che verrà presentata domani. Balenzano propone la costruzione di tutta la rete complementare con le sole risorse del bilancio. Le linee da costruire per conto dello Stato, il cui costo previsto è 140 milioni di lire, potrebbero costruirsi in 18 anni. Nell’elenco tra le altre linee c’è Girgenti-Favara-Naro-Canicattì, la Naro-Palma-Licata. Se si eseguisse a puntino la legge, cosa quasi impossibile, il tronco di Favara ultimo, forse per importanza ed urgenza, si vedrebbe esercitata da ora a 20 anni, dunque non è per me. Godo del godimento dei miei posteri.

(14 novembre 1902) Venerdì 14 vennero gli ingegneri designati per fare lo studio o il progetto dei terreni e della ferrovia a scarto ridotto Favara-Girgenti e Favara-Naro. Cominciarono i lavori sabato. Hanno preso aiutanti e operai favaresi. La stazione pare sia progettata nelle terre Piana, presso le terre di Chiodo, nella parte bassa e più vicina allo stradale rotabile che va da Favara al cimitero monumentale ed alla stazione Aragona Caldare.

(2 febbraio 1906) Da più di 26 anni si parla e si riparla, si scrive e riscrive, si fanno leggi sopra leggi per queste benedette ferrovie complementari, tra le quali, in appendice alla Castelvetrano Porto Empedocle, cioè il prolungamento fino a Favara, e poi non si fa nulla e ci siamo visti giocati e quasi canzonati e divisi da un Governo che è maestro nello estorcere denaro e corbellature. Pare finalmente che siano concesse definitivamente le ferrovie siciliane complementari ad una società francese. Nel Giornale di Sicilia n. 32, 12 febbraio, 3 facc., 3 col. si legge che il 31 il Consiglio dei Ministri (secondo ministero Fortis) su conforme parere del Consiglio di Stato, deliberò, dietro proposta del Ministro dei LL. PP. la concessione delle ferrovie complementari della Sicilia alla società delle ferrovie del mezzogiorno d'Italia. Il Consiglio dei Ministri stanotte approvò la concessione della costruzione ed esercizio delle ferrovie complementari alla nuova società francese col sussidio di 8000 lire a chilometro. Ciò nulla teme che il futuro Ministero possa mandare in aria la concessione. Ora vedremo che cosa farà il nuovo ministero da crearsi dopo la disfatta di Fortis. Se ci burlano questa volta si dovrà concludere che l'arte di burlare nel Governo italiano abbia raggiunto l'apice della perfezione e ad un tempo della mala fede e della birboneria.

Il contratto d'appalto non è firmato. Credo che il nuovo Ministero non lo firmerà. Pareva cosa finita. La burla però è infinita. E' notevole l'astinenza o incuria del Comune di Favara che non ha preso parte alcuna all'agitazione promessa dai Comuni interessati per ottenere la pronta approvazione e costruzione delle ferrovie complementari sicule, nemmeno ha mandato un rappresentante, nemmeno fatto un telegramma, né concesso un voto del Consiglio o della Giunta. Silenzio profondo, almeno così appare dai giornali, nei resoconti dei comizi tenuti a Sciacca, Bivona, a Palermo e altrove. Per Favara singolarmente il fatto è grave, perché può nuocere assai.

Le ferrovie complementari, dirò le vere (riferendomi a Favara) sono quelle che da Castelvetrano vanno a Porto Empedocle. Poi a mia cura e del fu mio cognato marchese Giuseppe Cafisi, si ottenne un prolungamento fino a Favara e Naro, ma una coda, un'aggiunta, una cosa secondaria. Certamente il Governo farà prima eseguire le linee principali, le vere ferrovie complementari e poi farà le code e le appendici.

Un giorno, in vista della nessuna insistenza e premura di Favara, il Governo potrà mettere in campo la non necessità, anzi l'inutilità del prolungamento Porto Empedocle-Favara. È da questa parte che diviene quasi colpevole il silenzio del sindaco e della Giunta comunale e del Consiglio. Cade un Ministero e se ne fa un altro. A Fortis succede Sonnino e promette le ferrovie con Pantano e ci burla esso pure. Succede il ministro Giolitti e si dissipa ogni speranza di vedere le ferrovie. Una cosa che pare incredibile. Parevano belle e fatte, invece è stata una grande e spudorata turlipanatura.

(18 giugno 1906) In una corrispondenza telegrafica del Giornale di Sicilia di oggi 17-18 giugno, nella relazione pare certo che della linea Castelvetrano-Porto Empedocle-Girgenti-Licata per Canicattì siano definitivamente esclusi Favara e Naro, cioè i cosiddetti prolungamenti che veramente non hanno ragione di essere.. Pare che Favara non debba più pensare a ferrovie.

(22 giugno 1906) Il Giornale di Sicilia n. 171, 20-21 giugno, 1 facc., 5 col., riporta la relazione della Giunta Generale del bilancio, disegno di legge sulle ferrovie complementari in Sicilia. Questa volta pare sia finita la lunga e vergognosa corbellatura di tanti anni. Questa volta la cosa assume serietà e speriamo di vederle fra un decennio queste tanto desiderate ferrovie. Per la linea 6.a c'è compresa la ferrovia a scarto ridotto Girgenti-Favara e favara-Naro, con allacciamento a Canicattì, a Palma di Montechiaro e a Licata. Io non arriverò a vederle queste bramate ferrovie da tanto tempo. È difficile che io viva altri sette anni e poi sette anni sono nominali, come i cavalli vapore delle macchine. Effettivamente per le circostanze impreviste, per il denaro, per litigi che possono insorgere, la costruzione e l'esercizio delle stesse ferrovie si protrarrà forse a 12 anni. Le vedrò dall'altro mondo.

 

 

5) SENTENZA N. 13, ANNO 1960

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente

Avv. GIUSEPPE CAPPI

Prof. TOMASO PERASSI

Prof. GASPARE AMBROSINI

Prof. ERNESTO BATTAGLINI

Dott. MARIO COSATTI

Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

Nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 23 dicembre 1959, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 31 dicembre 1959 ed iscritto al n. 22 del Registro ricorsi 1959, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1959, n. 875, con il quale é stata disposta la soppressione della linea ferroviaria a scartamento ridotto Licata - Agrigento Bassa, nonché della linea di diramazione Margonia - Canicattì.

Udita nell'udienza pubblica del 17 febbraio 1960 la relazione del Giudice Nicola Jaeger;

uditi gli avvocati Antonio Ramirez e Leopoldo Piccardi, per il ricorrente, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto n. 779 in data 27 luglio 1957 il Ministro per i trasporti "visto il R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 1575, con quale il Ministero era autorizzato a sostituire parzialmente o totalmente i servizi ferroviari con mezzi automobilistici"; vista la proposta della Direzione generale delle ferrovie dello Stato (Servizio commerciale e del traffico) e sentito il parere del Consiglio di amministrazione, disponeva:

"Art. 1. - L'Amministrazione delle ferrovie dello Stato é autorizzata a sopprimere i servizi ferroviari sulla linea Agrigento - Licata e sulla diramazione Margonia - Canicattì".

"Art. 2. - In luogo del soppresso servizio ferroviario sarà istituito un autoservizio da autorizzarsi dalla Regione a norma delle vigenti disposizioni di legge".

Successivamente, con decreto n. 712 in data 28 luglio 1958, l'Assessore delegato ai trasporti e comunicazioni della Regione siciliana, visti il decreto - legge e il decreto ministeriale sopra ricordati e "la proposta dell'Amministrazione delle ferrovie dello Stato, di cui alla nota 20 marzo 1958, n. C. C. 790, con la quale si stabiliscono le condizioni da cui deve essere regolato il servizio automobilistico sostitutivo del servizio ferroviario viaggiatori e merci" fra l'altro, sulla linea Agrigento - Licata con la diramazione Margonia - Canicattì, nonché una istanza della Azienda Siciliana Trasporti in data 17 giugno 1958, n. 14.999, "da cui risulta che l'Amministrazione ferroviaria ha già concluso apposite intese con l'A.S.T. (Azienda Siciliana Trasporti), ente di diritto pubblico regionale, circa le condizioni e modalità, sia tariffarie che di servizio degli istituendi servizi sostitutivi", autorizzava detta Azienda a stipulare la convenzione relativa con l'Amministrazione delle ferrovie dello Stato, dettando talune prescrizioni al riguardo.

Con decreto n. 875 in data 26 agosto 1959 il Presidente della Repubblica, richiamate le leggi vigenti in materia e il decreto 26 luglio 1957, n. 779, del Ministro per i trasporti, su proposta del Ministro stesso e sentito il Consiglio dei Ministri, disponeva:

É soppressa la linea ferroviaria a scartamento ridotto Licata - Agrigento Bassa, nonché la linea di diramazione Margonia - Canicattì".

Con atto notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri presso l'Avvocatura generale dello Stato il 23 dicembre 1959, la Regione siciliana ha proposto ricorso per il regolamento di competenza conseguente al conflitto di attribuzione, provocato dal decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1959, n. 875, che era stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 259 del 27 ottobre 1959.

Nel ricorso si conclude perché la Corte costituzionale voglia "sospendere preliminarmente l'esecuzione del provvedimento impugnato. Ritenere e dichiarare che, di seguito alla soppressione del servizio sulla linea Agrigento Licata e sulla diramazione Margonia - Canicatti, già esercitato dall'Amministrazione delle ferrovie dello Stato, disposta col decreto ministeriale n. 779 del 26 luglio 1957, la linea stessa, con tutti i suoi accessori e pertinenze, é passata nella sfera di competenza e, quindi, in proprietà della Regione. Conseguentemente ritenere e dichiarare che il decreto del Presidente della Repubblica n. 875 del 26 agosto 1959 ha invaso la sfera di competenza della Regione siciliana, emettendo tutte le statuizioni conseguenziali".

A sostegno di tali conclusioni la Regione, richiamate numerose disposizioni vigenti e in particolare quelle del decreto presidenziale 17 dicembre 1953, n. 1113, con cui vennero emanate le norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di comunicazioni e trasporti, afferma che la soppressione del servizio ferroviario sulla linea in questione sarebbe già avvenuta con il decreto ministeriale n. 779 del 26 luglio 1957; aggiunge che tale soppressione ha fatto immediatamente sorgere la competenza della Regione sulla linea anzidetta e su tutte le sue pertinenze, con la conseguenza che la Regione può decidere di gestire la linea ferroviaria sia in proprio sia dandola in concessione, può decidere di trasformare la linea in strada rotabile, può decidere di smantellarla parzialmente o totalmente; contesta che le norme degli artt. 32 e 33 dello Statuto siciliano possano essere interpretate nel senso che il momento del passaggio dei beni dallo Stato alla Regione sia quello dell'entrata in vigore dello Statuto stesso.

A detta della ricorrente, con l'impugnato provvedimento lo Stato ha continuato a disporre di una linea non più sua, invadendo la sfera di competenza della Regione, e poiché l'esecuzione del provvedimento stesso, che avrebbe ordinato lo smantellamento della linea e delle sue pertinenze, importerebbe un grave ed evidente danno per la Regione, ne sarebbe giustificata la sospensione a norma dell'art. 40 della legge n. 87 del 1953. Altro vizio importante illegittimità deriverebbe dalla mancata partecipazione al Consiglio dei Ministri del Presidente della Regione.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri si è costituito, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, depositando le proprie deduzioni in data 12 gennaio 1960, nelle quali si conclude perché la Corte voglia dichiarare la nullità e, subordinatamente, la infondatezza del ricorso con ogni conseguenziale pronunzia. A sostegno di tali conclusioni si osserva anzitutto che le norme sulle notificazioni per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, contenute nella Legge 11 marzo 1953, n. 87, non sono state modificate da quelle della legge 25 marzo 1958, n. 260, perché non ricorre qui il concetto di giurisdizione amministrativa o speciale; quindi, poiché la notificazione é stata eseguita presso l'Avvocatura generale dello Stato, essa é assolutamente nulla, con il conseguente inutile decorso dei termini previsti dall'art. 39 della legge n. 87 del 1953 e l'irricevibilità del ricorso.

Nel merito la difesa dello Stato afferma che il decreto ministeriale n. 779 del 26 luglio 1957 non poteva interpretarsi come soppressione definitiva della linea ferroviaria e rinunzia ad avvalersi della facoltà di sostituirla con servizi automobilistici, poiché questi provvedimenti non sarebbero neppure rientrati nella competenza del Ministro, ma del Governo. Soprattutto, però, in relazione ai fini che la Regione si sarebbe proposta di raggiungere col ricorso e che di questo costituiscono la specifica conclusione, la difesa dello Stato afferma decisamente, richiamando un precedente già deciso dalla Corte costituzionale, che la linea soppressa, con tutti i suoi accessori e pertinenze, non é passata in proprietà della Regione, ma é rimasta di proprietà dello Stato, passando dal suo demanio al suo patrimonio disponibile.

Entrambe le parti hanno depositato memorie, nelle quali hanno ribadito le proprie conclusioni, illustrando più ampiamente gli argomenti a sostegno di esse. La difesa della Regione ha insistito particolarmente sulla estensione della competenza legislativa e amministrativa regionale rispetto a tutti i servizi di comunicazione e di trasporto che si svolgono esclusivamente nell'ambito del relativo territorio, alla sola condizione che non si tratti di servizi esercitati dalle Ferrovie dello Stato. Ha poi affermato che il servizio automobilistico, il quale dovrebbe sostituire il servizio ferroviario, rientra certamente nella competenza della Regione; che, pertanto, il provvedimento dell'autorità statale sarebbe subordinato ad un provvedimento di competenza regionale, mentre nella specie le autorità centrali dello Stato avrebbero manifestato il loro intendimento di rendere obbligatoria per la Regione siciliana, con il loro operato, l'istituzione di un servizio automobilistico destinato a sostituire la soppressa linea ferroviaria. Distinte due parti nel contenuto del provvedimento statale, quella in cui si manifesta la volontà dell'Amministrazione ferroviaria di non continuare l'esercizio del servizio e l'altra in cui se ne dispone la soppressione, la difesa della Regione vede in questa seconda parte uno sconfinamento della sfera dei poteri spettanti allo Stato, perché a questo punto il servizio sarebbe diventato di interesse regionale e competerebbe alla Regione decidere se, come tale, esso debba continuare od essere soppresso. Essa riafferma infine la tesi del trasferimento dei beni al demanio regionale, ricordando una precedente decisione della Corte costituzionale in tema di beni del demanio marittimo, rispetto ai quali la Regione rivendicava il diritto di disposizione.

Nella memoria della difesa dello Stato si richiama la tesi della nullità del ricorso; si insiste sulla incompetenza del Ministro dei trasporti a disporre la soppressione di una linea ferroviaria, che potrebbe essere determinata - dal Governo - solo dopo un congruo periodo di sospensione del servizio, che ne dimostri la non necessità; si contesta che la competenza della Regione in materia abbia carattere derivativo, in quanto essa sorgerebbe invece a titolo originario e non potrebbe parlarsi di successione della Regione allo Stato; si rileva che il potere di disporre dei beni e degli impianti ferroviari spetta alla Amministrazione delle ferrovie, azienda autonoma, e che accogliendo la tesi della Regione si arriverebbe all'assurdo che ogni modificazione del tracciato di una linea nel territorio della Sicilia importerebbe l'acquisto da parte di questa di tutte le installazioni del tracciato, precedente; si nega, infine, che la mancata partecipazione del Presidente della Regione alla seduta del Consiglio dei Ministri determini la nullità dei provvedimenti nelle materie che interessano la Regione, anche perché il Presidente, quando interviene, eserciterebbe una attribuzione non regionale, ma statale.

All'udienza i difensori delle parti hanno ulteriormente illustrato le proprie deduzioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La difesa dello Stato ha sostenuto in via preliminare la nullità della notificazione e conseguentemente del ricorso della Regione, perché esso venne notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri presso l'Avvocatura generale dello Stato, mentre le disposizioni degli artt. 41 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (in aggiunta alle quali deve essere menzionato il primo comma dell'art. 27 delle Norme integrative per i giudizi approvate dalla Corte costituzionale il 16 marzo 1956), non prevedono tale forma di notificazione.

La difesa stessa esclude che siano applicabili nei giudizi davanti alla Corte costituzionale le norme della legge 25 marzo 1958, n. 260, poiché la Corte non può essere qualificata come un organo della giurisdizione amministrativa o speciale. É quindi necessario risolvere anzitutto tale questione, che si presenta per la prima volta all'esame della Corte.

In proposito si deve rilevare che la Corte esercita essenzialmente una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni.

É vero che la sua attività si svolge secondo modalità e con garanzie processuali ed é disciplinata in modo da rendere possibile il contraddittorio fra i soggetti e gli organi ritenuti più idonei, e pertanto legittimati, a difendere davanti ad essa interpretazioni eventualmente diverse delle norme costituzionali. Tutto ciò riguarda soltanto, però, la scelta del metodo considerato più idoneo dal legislatore costituente per ottenere la collaborazione dei soggetti e degli organi meglio informati e più sensibili rispetto alle questioni da risolvere ed alle conseguenze della decisione, tanto é vero che nei casi, in cui la questione di legittimità costituzionale sorge in relazione ad una controversia concernente singoli interessati, l'organo giurisdizionale competente a risolvere tale controversia conserva il potere di deciderne tutte le altre questioni, ed anche quello di valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale rispetto ad essa; mentre la Corte é chiamata a risolvere la questione di legittimità, astraendo dai rapporti di essa con la controversia principale e persino dalle successive vicende processuali di questa (estinzione del processo per rinuncia accettata, morte dell'imputato ecc.: cfr. art. 22 delle Norme integrative). La sua decisione, concernendo la norma in sé, concorre non tanto alla interpretazione ed alla attuazione, quanto all'accertamento della validità delle norme dell'ordinamento e, quando ne dichiara la illegittimità costituzionale, ha - come é noto - efficacia erga omnes.

É pertanto da respingere l'opinione che la Corte possa essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e tanto profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali.

Si deve osservare anche che la partecipazione di una Amministrazione dello Stato ai procedimenti davanti alla Corte costituzionale non é certamente frequente, non essendo dubbio che quando la legge prevede il così detto intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, legittimato attivamente o passivamente (art. 20, terzo comma; art. 23, quarto comma; art. 25, terzo comma; art. 31, secondo comma; art. 32, secondo comma; art. 33, secondo comma; art. 35, primo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; art. 27, primo comma, Norme integrative approvate dalla Corte), essa vi ravvisa non il capo di una Amministrazione, ma il rappresentante dello Stato inteso come ordinamento unitario. A chiarimento del concetto può non essere superfluo ricordare la disposizione dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, che, prevedendo il ricorso di una Regione alla Corte costituzionale per promuovere la decisione sulla competenza prevista dall'art. 127 della Costituzione, prescrive che tale ricorso deve essere notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento: organi tutti, che non possono essere certamente considerati quali titolari di interessi in conflitto, ma solo come rappresentanti degli organi investiti di sfere di attribuzioni, rispetto alla delimitazione delle quali possono sorgere le questioni, la cui soluzione é affidata alla Corte costituzionale.

Queste considerazioni inducono a ritenere, da un lato, esatta la premessa posta dall'Avvocatura generale dello Stato, che fra le notificazioni regolate espressamente dalla citata legge del 1958 non possono ritenersi comprese quelle previste nei procedimenti davanti alla Corte costituzionale, riguardino esse il Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero i Presidenti delle due Camere del Parlamento; quindi la forma corretta, alla stregua delle disposizioni vigenti, é quella della notificazione diretta al destinatario, non presso l'Avvocatura dello Stato.

D'altro lato, il carattere sopra ricordato dei procedimenti e la natura della funzione affidata alla Corte nel sistema delle garanzie costituzionali inducono a non attribuire ad una irregolarità commessa nel corso di una notificazione le stesse conseguenze che essa potrebbe avere in un processo avente ad oggetto un conflitto intersubbiettivo di interessi. Qui, più che in ogni altro caso, l'interesse generale esige l'accertamento e l'attuazione della volontà della legge; e, nella specie, la delimitazione delle attribuzioni assegnate da norme costituzionali rispettivamente allo Stato ed alle Regioni. Attenendosi a principi analoghi, la Corte ha ripetutamente posto in luce come, dato lo speciale carattere e lo scopo dei giudizi di legittimità costituzionale, anche quando essi siano proposti in via principale, non possano avere rilievo istituti specialmente elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, come quelli della inammissibilità del ricorso per acquiescenza o per il carattere confermativo del provvedimento impugnato (sentenze 7 marzo 1957, n. 44; 7 luglio 1958, n. 54; 30 dicembre 1958, n. 77; 18 maggio 1959, n. 30).

Tenuto conto poi che é questa la prima volta che la questione si é presentata, così che mancava ogni precedente atto a servire di norma, e che un'altra notificazione dell'atto sarebbe di fatto superflua perché entrambi i soggetti si sono costituiti ed hanno svolto le proprie difese scritte e orali, la Corte non ritiene di accogliere la eccezione di nullità proposta dall'Avvocatura generale dello Stato.

2. - Nel merito si osserva anzitutto che il provvedimento cui si riferisce il ricorso della Regione é un decreto del Presidente della Repubblica, mediante il quale non si é fatto altro che porre in essere l'ultimo atto di un complesso procedimento iniziato con il decreto ministeriale n. 779 in data 27luglio 1957. Contro questo provvedimento la Regione siciliana non avanzò alcuna protesta né riserva, anzi provvide a tutti i necessari adempimenti affinché, esso potesse avere piena e relativamente sollecita esecuzione.

D'altra parte, anche la censura rivolta al decreto presidenziale non concerne propriamente il provvedimento stesso, ma alcune delle sue conseguenze, o meglio la mancanza di certe conseguenze, che dovrebbe derivarne secondo la tesi della Regione, e precisamente quella del trasferimento al suo patrimonio di tutti i beni attinenti alla linea ferroviaria ed alla diramazione soppresse con il decreto medesimo.

La difesa della Regione attribuisce all'unica disposizione del decreto "soppressa la linea ferroviaria a scartamento ridotto Licata - Agrigento Bassa, nonché la linea di diramazione Margonia - Canicatti" un duplice contenuto: l'ordine di soppressione della linea, contro il quale essa non ha nulla da eccepire, riconoscendo che esso rientra pienamente nelle attribuzioni dello Stato a norma delle disposizioni vigenti (art. 17, lett. a, dello Statuto della Regione; art. 4 del D.P.R. 17 dicembre 1953, n. 1113), ed un implicito atto di disposizione dei beni attinenti alla linea ferroviaria, mediante il quale lo Stato avrebbe trasferito i beni stessi dal proprio demanio al patrimonio disponibile come conseguenza della soppressione della linea stessa. La Regione, che non ravvisa veramente nella prima parte (esplicita) alcun vizio censurabile, tanto più in quanto proprio su di essa fonda la sua domanda relativa al trapasso dei beni sdemanializzati al patrimonio regionale, denuncia invece la seconda parte (implicita) per una lacuna che essa presenterebbe, non avendo dato atto di tale trapasso di beni, fondato secondo la sua tesi sulla norma contenuta nell'art. 32 dello Statuto speciale per la Regione siciliana.

Con tutto ciò, non é veramente del tutto chiara l'argomentazione in base alla quale la difesa della Regione, la quale conclude per l'assegnazione alla medesima della proprietà sui beni della linea ferroviaria soppressa, giunge a tale conclusione attraverso una censura dello stesso decreto presidenziale, che costituisce in realtà il presupposto della sua domanda. Ma é chiaro invece che l'oggetto del presente giudizio é, in via principale, la questione sulla appartenenza allo Stato o alla Regione di una potestà pubblica relativamente a certi beni, che la Regione assume trasferiti aI suo patrimonio e lo Stato ritiene rimasti nel proprio; così che la specie presenta notevole analogia con un'altra, che si é presentata recentemente al giudizio della Corte costituzionale, e che dette occasione a questa di affermare la propria competenza a giudicare della appartenenza di un bene allo Stato o alla Regione, come presupposto del legittimo esercizio delle potestà amministrative rispetto al bene stesso (sentenza 18 maggio 1959, n. 31).

D'altra parte, le censure rivolte al decreto presidenziale del 1959 avrebbero potuto essere dirette piuttosto al decreto ministeriale del 1957, rispetto al quale la difesa della Regione muove pure alcuni appunti, oltretutto tardivi e contraddittori, come quello di avere posto dei limiti alla libertà di determinazione della Regione, obbligandola a provvedere alla sostituzione del servizio ferroviario, una volta che questo fosse stato soppresso, ma non formula conclusioni di sorta.

3. - Precisato così l'oggetto del conflitto di attribuzione ed accertato, proprio in base alle conclusioni contenute nel ricorso, che la Regione non domanda l'annullamento del decreto presidenziale (e ciò spiega perché l'accenno, fatto solo per inciso, ad un vizio dell'atto, derivante dalla mancata partecipazione del Presidente della Regione alla seduta del Consiglio dei Ministri che precedette l'emanazione del provvedimento, non é stato poi né svolto adeguatamente, né posto a base di una conclusione), la sola questione da risolvere é quella che concerne la proprietà delle attrezzature della linea ferroviaria soppressa.

La stessa difesa della Regione richiama, a sostegno delle proprie tesi, la interpretazione data da questa Corte alle norme contenute negli artt. 32 e 33 dello Statuto speciale (sentenza 4 giugno 1958, n. 37); ma il richiamo non é esatto, perché nel caso deciso con quella sentenza si trattava di un bene, rispetto al quale la situazione giuridica era rimasta immutata dalla data dell'entrata in vigore dello Statuto, onde occorreva solo un atto di accertamento della situazione stessa.

Nella controversia presente, invece, la Regione rivendica la proprietà di un bene, che al momento dell'entrata in vigore dello Statuto era indiscutibilmente compreso nel demanio dello Stato, e la sua pretesa si fonda su un fatto nuovo, la soppressione della linea ferroviaria, avvenuto ben tredici anni dopo l'approvazione di quello Statuto.

La domanda della Regione deve pertanto essere respinta; e con ciò rimane assorbita anche la questione concernente la sospensione del decreto presidenziale n. 875 del 26 agosto 1959.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sul conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione siciliana con atto 23 dicembre 1959 in relazione al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1959, n. 875:

respinta la eccezione pregiudiziale di nullità del ricorso proposta dalla Avvocatura generale dello Stato;

dichiara la competenza dello Stato a disporre dei beni attinenti a servizi di trasporto esercitati dall'Amministrazione delle ferrovie dello Stato nell'ambito del territorio della Regione siciliana, anche successivamente alla soppressione del servizio;

respinge pertanto il ricorso proposto dalla Regione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 marzo 1960.

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA

 

Depositata in Cancelleria il 23 marzo 1960.